• Christian Caujolle (FR)

  • Portfolio: Giochi di ruolo

  • Published in Internazionale (IT)

  • December 2018

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La coppia di artiste belghe memymom crea nelle sue foto un mondo sconvolgente, pieno di richiami cinematografici e teatrali. Un’insolita collaborazione tra madre e figlia, scrive Christian Caujolle 

Le opere realizzate dalle coppie di artisti sono sempre sconcertanti e il processo creativo rimane abbastanza misterioso. Spesso sono il frutto dell’iniziativa di artisti che stanno insieme anche nella vita, come Christo e Jeanne-Claude, Jean-Luc e Titi Parant, Gilbert e George, Bernd e Hilla Becher, per citare solo alcuni tra i più famosi. È molto più raro che siano collaborazioni tra genitori e figli.

Ecco perché il primo aspetto che colpisce nella produzione delle due artiste belghe del collettivo memymom, Marilène Coolens (1953) e Lisa De Boeck (1985), è il fatto che sono madre e figlia. Soprattutto in un momento in cui l’immagine dell’infanzia e la rappresentazione dell’adolescenza sono al centro di polemiche e tabù. Il loro nome d’artista, contrazione di me and my mom (io e mia madre), la dice lunga sulla natura di un progetto che le coinvolge non solo come creatrici di immagini ma anche come attrici di fotografie, e dal 1990 le vede insieme complici e simbiotiche.

Quando Lisa aveva cinque anni, sua madre ha cominciato a fotografarla nel modo in cui una madre può fotografare i propri figli. Con la differenza, però, che questa pratica è diventata presto un gioco in cui la bambina interpretava ruoli diversi, diventando l’unica attrice in un teatro rappresentato dalla casa di famiglia, e dove lo spunto erano cartoni animati, serie televisive e favole. 


Passioni condivise

Nel lavoro The umbilical vein, finito nel 2003, la figlia è l’attrice e la madre dirige, ma entrambe mostrano un’apertura sul mondo delle immagini e della cultura, un atteggiamento libero e un modo di considerare la vita al tempo stesso con leggerezza e gravità. “Sono stata insegnante di educazione fisica. Mi piaceva incoraggiare i ragazzi a esprimersi, e ho fatto lo stesso con i miei figli”, dice Marilène. “Mi sono molto ispirata a quello che succedeva negli anni novanta. E a quello che facevamo io e Lisa. Era un gioco, nato dalla cultura, dai quadri, dai film”. Lisa aggiunge: “Mentre io e i miei fratelli crescevamo, i nostri genitori ci han- no incoraggiato a scoprire molte forme d’arte. Ci hanno fatto conoscere David Lynch attraverso Twin peaks, gli autoritratti della fotografa Cindy Sherman, e abbiamo fatto insieme un viaggio memorabile a New York. Hanno condiviso con noi i loro interessi, le cose che li appassionavano. Tutto questo ha plasmato i nostri gusti e alimentato un nostro bisogno di espressione. Ci hanno protetto senza impedirci di vivere la nostra vita. Una volta mi ricordo di aver at- traversato un quartiere a luci rosse di Bruxelles e di aver chiesto a mia madre cosa fosse. Lei me lo ha semplicemente spiega- to. Penso che un bambino possa capire mol- te cose e trarre le sue conclusioni”. 

Travestimenti, parrucche, trucco, vestiti lunghi e poi minigonne, accessori femminili indossati da una bambina. È un mondo sconvolgente, pieno di richiami cinematografici e teatrali (come la tenda di velluto rosso ), con protagonista una bambina che assume pose da donna. Nulla a che vedere, grazie a una scenografia molto studiata, con le fotografie di Sally Mann, le cui immagini in bianco e nero dei figli nudi nel loro ambiente familiare avevano scatenato in- credibili polemiche.

Non siamo nell’ambito della constatazione ma della costruzione, e se volessimo parlare di constatazione sarebbe solo per osservare quello che può succedere nella testa di un bambino: nei sogni, nella creazione del suo mondo di eroi e nel piacere di recitare nei panni di diversi personaggi. 
“Le immagini della serie The umbilical vein sono state fatte all’epoca in cui interpretavo dei personaggi che avevo visto nel- le serie televisive, nei ilm o nella vita reale”, dice Lisa. “Proprio perché da bambina non ero una di loro, ero capace d’interpre- tarli e di tenere la parte per un po’ di tempo. Probabilmente erano una parodia di alcuni vecchi stereotipi, ma soprattutto rendono omaggio a un’icona che mi ha molto impressionata durante la mia infanzia. Quando ho visto Catwoman interpretata da Michelle Pfeifer nel ilm Batman – Il ritorno di Tim Burton, avevo solo nove anni. All’epoca ho creato il mio costume di Catwoman e interpretato la mia versione di quel personaggio”.

Nel 2004, con l’adozione dello pseudonimo artistico memymom la pratica ingenua e spontanea ha lasciato il posto allo sviluppo consapevole e controllato di un progetto meditato e condiviso. Ora ognuna delle due artiste può essere di volta in volta modella, costumista, fotografa, regista. Il tempo è passato e Lisa è cresciuta diventando un’adolescente, poi una ragazza e oggi una donna.

La scomparsa del padre di Lisa le ha avvicinate ancora di più. Tra il 2010 e il 2015 nella serie The digital decade, che corrisponde anche a un periodo di cambiamenti tecnologici ed espressivi in ambito fotografico, elaborano delle scene più complesse, più simboliche, dei veri e propri quadri fotografici che esplorano i temi della memoria, della maternità, della femminilità e analizzano alcuni stereotipi legati alla donna. Il tempo dell’innocenza, talvolta venato di sensualità, è finito; la modalità usata più spesso è quella della parodia, più barocca nella sua estetica, talvolta leggermente graffiante e indisponente. L’elaborazione scenografica continua a essere fondamentale, ma non sappiamo mai chi dirige l’opera, in una fusione che è anche una condivisione di sentimenti. La serie più recente, Somewhere under the rainbow, ancora in corso e sviluppata a Bruxelles e durante alcuni viaggi all’estero, ha forti connotazioni cinematografiche ma senza rimandare ad alcun ilm preciso. Le foto sono diventate più misteriose e anima- te da una maggiore spontaneità. I travestimenti sono sempre essenziali, le pose sempre studiate, ma si ha l’impressione che siano gli spazi a scegliere i costumi più adat- ti allo spirito del luogo. Alcune immagini ricordano le visioni di Guy Bourdin. 

Oggi le due artiste, che sognano di rea- lizzare un ilm, creano un universo molto originale dove s’interrogano, a distanza e con leggerezza, sulla relazione madre-figlia, sulla femminilità e i luoghi comuni. E il loro modo di lavorare in coppia non fa che rafforzare l’impressione di mistero che circonda le creazioni collettive.